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‘Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarritaʼʼ.

Il 14 settembre 1321 Dante lasciava questo mondo al culmine di un’esperienza umana e storica senza eguali.

Al momento della sua morte, egli era già conosciuto come il Sommo Poeta, colui che aveva intrapreso un’impresa eroica, al pari degli antichi e persino più di quel leggendario Enea, di cui parlò, non a caso, seguendo le intriganti trame del destino, un certo Virgilio…

 Anche il viaggio di Dante è un cammino di speranza e di rinascita, al contempo personale e collettivo, in quella selva oscura che è il nostro cuore, quell’oceano insondabile fatto di bassezze morali e di vette immaginifiche, capace di rendere tumultuosa e straordinaria, malgrado le mille dicotomie, la nostra esistenza sulla terra.

Era il 25 marzo del 1300.

Né di Venere, né di Marte ci si sposa, né si parte, né si dà principio all’arte, dice un proverbio assai vetusto. Ma quello non è un venerdì qualsiasi, è un giorno carico di sofferenza e di tristezza. É il Venerdì Santo. Eppure, la crocefissione di Gesù e la sua successiva risurrezione ci dimostrano che la morte non ha l’ultima parola, che il male non è per sempre, che è possibile delineare un corso diverso per noi. Nascere a nuova vita. Anche Dante cerca la catarsi. E ciò avviene nell’ora più buia della sua esistenza. Succede. In fondo, proprio ai peccatori redenti sono affidate le missioni più esaltanti, solo chi ha imparato a dominare le ombre può portare bagliore nel buio altrui. E le luci più belle sono quelle che squarciano il velo sinistro di una notte apparentemente senza stelle.

‘‘Siamo tutti nel fango, ma alcuni di noi guardano verso le stelleʼʼ, scriveva Oscar Wilde. E forse oggi, che siamo oggetti traballanti, ostaggio di un tempo sospeso asfissiante, più che mai ci riconosciamo nello sguardo carico di dubbi di Dante, capace di sospendere per un attimo, per un solo istante in grado di fare la differenza, il proprio giudizio e di abbracciare idealmente gli sventurati che non seppero o non vollero rinunciare al peccato e al sussurro sinistro del Fato. È stato così, ad esempio, per Paolo e Francesca, il cui libro galeotto, letto insieme con viva partecipazione emotiva, condusse a morte prematura e violenta. Sarà, ancora, così per un’altra sventurata, la Monaca di Monza, descritta splendidamente da Alessandro Manzoni.

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 Dante e Manzoni, sia chiaro, condannano questi peccatori ma provano nei loro confronti quella naturale empatia che scaturisce dalla certezza che siamo tutti contemporaneamente santi e peccatori, creature gioiosamente incerte, facili prede delle passioni e della malinconia.

Lo sbaglio di queste figure, ivi citate, è nella volontà di mettere Amore al primo posto, ma un Amore – il loro- deviato, fin troppo mitizzato, che non cresce e non evolve, che non si confronta con la realtà e che non mira a renderci migliori, che vuole appagare il nostro ego e lenire le nostre insicurezze ma non tende davvero alla realizzazione dell’altro, che è il fine supremo di questo sentimento, nella sua forma più pura.

Non solo sogno, esperienza letteraria e trascendentale. Il viaggio di Dante è esplorazione della nostra anima che ogni giorno si sporca, continuando però a bramare la dolcezza e l’innocenza dell’ infanzia,  il ritorno nel ventre di Pangea da cui tutto è nato e tutto torna. La Commedia è l’accettazione, non sempre serena, che sia la vita stessa a corromperci nel momento in cui non riusciamo a scendere a patti con questo suo continuo mutamento, volendo riproporre un castello, una corte, un’ Età dell’oro o, al contrario, una trappola per uccelli, che ormai esistono solo nella nostra fantasia. É  la presa di coscienza, lucidissima, che il mondo degli adulti sia un luogo terribile. E pur tuttavia, è in questo spazio spesso incomprensibile che noi ci definiamo, vicendevolmente, come esseri imperfetti e incompleti.

 E questa incompiutezza è il brivido sopraffino, la scintilla, il motore di tutte le storie e delle più grandi avventure. Perché, finché c’è un dettaglio da sistemare, un tassello da completare, tutto è davvero possibile. Anche la salvezza. In nome di quell’Amore che sfugge a ogni definizione, che non sempre afferriamo, ma il cui desiderio ci mette comunque in cammino. E se sia portatore di perdizione o di redenzione, questo incantatore dai mille volti, che ugualmente può donare pace o distruggere, è il grande mistero che dobbiamo decifrare in questa nostra vita terrena. O, a volte, lasciar perdere. A noi, la scelta.

 E allora siano benedetti tutti i libri galeotti e gli autori che si cimentarono nella grande impresa, che è insieme gioco e insegnamento, inganno e antidoto!

  Perché ogni libro è una sfida e contiene una formula per dominare il tempo e una per le nostre paure. Ed è su questo che si regge l’equilibrio dell’ universo.

Dante è morto, Dante vive!

 E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Immagini:

In copertina La Divina Commedia illumina Firenze di Domenico di Michelino

La selva oscura particolare tratto dal ciclo di di Federico Zuccari

Paolo e Francesca di Gustav Dore

2 commenti

  1. Sottoscrivo ogni singola parola che hai scritto, mia cara kokeshi. Le tue parole ci insegnano che, malgrado il parere di certi intellettuali “moderni”, i grandi del passato sono in grado di darci lezioni di vita immortali e sempre valide, ora più che mai. In un’epoca in cui si tende a guardare tutto ciò che viene dal passato con occhi diffidenti e a tratti sprezzanti, è di vitale importanza invece accogliere e recepire perle di saggezza intramontabile da persone che, nel bene e nel male, hanno dato un contributo eterno alla nostra Storia, allo stesso modo in cui un allievo dell’antica Grecia ascoltava le parole del suo Maestro. E riguardo a Dante, senza di lui la nostra bellissima lingua non avrebbe avuto l’identità e il prestigio che ha a livello nazionale e internazionale. Per certi versi, almeno a parer mio, l’italiano è molto più poetico e raffinato dell’ormai strabusato e quasi poppeggiante inglese. Nessun’altra lingua al mondo possiede queste stesse caratteristiche. Perciò torniamo ad apprezzare di più la nostra lingua, che è il pilastro fondamentale della nostra cultura. Viva l’italiano! Viva Dante!

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