Ocra rossa come il sangue, carboncino nero come una notte senza stelle e graffiti sul calcare grigio come le zone d’ombra della nostra anima.
Che cosa videro gli occhi che realizzarono le incisioni di Lascaux[1]?
Un mondo stupefacente, a noi completamente ignoto. Lʼalba del Tempo.
Scendere nelle leggendarie grotte della Dordogna – in senso fisico ed intellettuale – è unʼodissea insieme personale e collettiva nei meandri della storia dell’umanità, unʼ avventura non priva di ostacoli, che ci permette di iniziare quel gioco del “Cʼera una volta”, e quindi della narrazione nel senso più ampio del termine, che porta a esplorare sentieri inattesi, dalle imprevedibili possibilità.
Come Alice, attraversiamo uno specchio e ci ritroviamo in un universo completamente diverso da quello attuale. Le vicende della Storia dell’arte sono fatalmente legate al complesso delle grotte di Lascaux, la cappella Sistina dei nostri antenati.
Le incisioni rupestri raffigurano una sorta di dionisiaca danza animalesca. Ecco le fiere e spaventose belve contro cui lottavano e convivevano i nostri progenitori! Cavalli, bisonti, orsi, rinoceronti, e poi specie estinte come l’Uro, un tipo di bovino.
Si scorge, fra le altre, anche una figura umana. É un cacciatore appena ucciso da una di queste fiere. La danza della vita e della morte non prevede variazioni. Si nasce e si muore soli e nella paura, sotto lo stesso cielo stellato.
Non sembra, allora, inopportuno citare a questo punto le parole di Walter Benjamin: “ Le opere d’arte più antiche sono sorte, come è noto, al servizio di un rituale, dapprima magico, poi religioso. Ora riveste un significato decisivo l’atto che questo modo di esistenza auratico non possa mai staccarsi dalla sua funzione rituale. In altre parole: il valore unico dell’opera d’arte autentica trova la sua fondazione sempre nel rituale. Per mediato che sia, questo fondarsi è riconoscibile sotto forma di rituale secolarizzato, anche nelle forme più profane del culto della bellezza” [2].
Nei loro encomiabili studi, Max Raphaël eAnnette Laming-Emperaire hanno messo ben in evidenza la natura mitico-religiosa delle raffigurazioni e, verso la fine degli anni ’90 Jean Clottes e Davis Lewis-Williams collegarono immagini e spazi dipinti alla pratica dello sciamanesimo.
Sono state riportate diverse versioni a proposito della scoperta delle incisioni, proprio come in una fiaba, come in ogni leggenda che si rispetti.
Alcune sono decisamente surreali, altre più credibili. La più accreditata, parla di un certo Marcel Ravidat, un ragazzo che trovò l’ingresso della cavità mentre inseguiva il proprio cane, che a sua volta inseguiva un coniglio (guardo caso, come accade ad Alice nella fiaba scritta da Lewis Carroll), in un giorno d’estate del 1940.
Quattro giorni dopo, il 12 settembre, Ravidat tornò sul luogo insieme ad altri tre amici. Fu uno di questi, Jacques Marsal, a rivelare la scoperta ai genitori. La notizia giunse al professore dei ragazzi, Leon Laval, che il 16 settembre eseguì una prima esplorazione. Laval decise di avvertire immediatamente lo studioso di preistoria Henri Breuil. Lascaux si rivelava al mondo…
Tuttavia, ci vollero sei anni di lavori per rendere accessibile al pubblico il complesso. Finì, così, che le pitture parietali, alla stregua di consumate rock stars, risentirono di questo stress, e subirono danni pesanti a causa dell’eccessiva anidride carbonica emessa dai visitatori. Nel 1963, fu necessario chiudere le grotte. Le incisioni vennero restaurate e tornarono lentamente al loro stato originale. Nel 1979, Lascaux entrò a far parte del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Nel 1998 ampie parti del complesso furono attaccate da funghi, causando ulteriori chiusure e interventi straordinari di manutenzione.
Nel 2008, a seguito dell’aggravarsi della situazione, le Grotte di Lascaux sono state completamente interdette al pubblico. Oggi è però possibile ammirare le riproduzioni delle pitture parietali presso le sale espositive allestite nel parco Le Thot, ad alcuni chilometri da Montignac. Resta comunque la magia di quelle incisioni uniche. Perché ci sono viaggi, immagini, percezioni, che rendono davvero possibile annullare le distanze temporali. Sopratutto se ripercorriamo le vicende della Storia dell’Arte.
E allora guardare, attraverso i secoli, i millenni, guardare con gli occhi degli antichi per capire qualcosa in più di noi stessi. Tornare indietro per prendere consapevolezza di ciò che siamo, nel bene e nel male e magari, per cambiare il futuro.
Siamo davvero pronti a lasciare la caverna e incominciare la nostra storia? Ed ecco che, senza aspettare la risposta, siamo già fuori, siamo nella radura, sospinti da un inspiegabile vento. Ma lo siamo davvero, liberi?
Il paesaggio di Lascaux è davanti a noi, ora.
É simile a una steppa, irta di insidie e selvaggia. Non si lascia comprendere fino in fondo. Come un enigma surrealista. Come tutte le cose che non ci appartengono del tutto. E pur tuttavia, ne avvertiamo lʼanima, il suo silenzio, mistico, prima dell’arrivo delle mandrie, la purezza dellʼaria, i colori della Natura incontaminata, le ombre sinistre che, di notte, prendevano forma e vita, per tormentare il sonno inquieto di uomini e donne.
É nella notte, quella dei tempi, quella del cuore, guardando quel cielo stellato insondabile, che i nostri antenati si interrogano sul senso della vita e della morte, immaginando forse un mondo oltre quella fine inevitabile, mai del tutto accettata dall’essere umano.
La raffinatezza di queste incisioni lascia sbalorditi. Non sono le tracce di esseri primitivi, rozzi, senza cognizione di sé, ma di abilissimi artisti che volevano dare testimonianza del proprio tempo, lasciare una traccia del proprio essere, sulla terra, ai posteri. Un intento ambizioso e modernissimo.
Ecco perché il viaggio nella storia dell’arte è un viaggio circolare dove ogni elemento si rinnova, in una rapsodia che non ha mai fine e che parla al nostro cuore, ai giorni che verranno.
L’arte partecipa al gioco che è umano e divino al contempo dell’immortalità, all’ardita battaglia contro il Divenire, ed è l’inganno che più ci avvicina alla Verità dell’essere umano. E, forse, dell’Universo. È il simbolo di quella strana scintilla che gli individui si portano dentro sin dalla notte dei tempi.
Fuori, nelle foreste, intorno a Lascaux, i grandi animali esistono ancora, anche se non li possiamo più vedere. Eppure, malgrado l’innocenza perduta e l’incanto della magia sia ormai dissolto, ci sembra di sentire la persistenza del loro minaccioso urlo nelle nostre orecchie.
In fondo, siamo ancora selvaggi che bramano la supremazia, la soddisfazione effimera della caccia, esseri votati alla necrofilia, capaci di grandi passioni, che temono le maledizioni del sangue e pregano affinché venga la pioggia. E, infine, che gli Dei possano offrire pace e prosperità.
Per sempre.
[1] Il particolare di Lascaux qui riportato come copertina dell’articolo è una fotografia autoprodotta di pubblico dominio, contrassegnata per essere riutilizzata e presa da: https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Lascaux,_replica_03.JPG
[2] Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca delle sua riproducibilità tecnica, in Aura e choc, Einaudi, Torino, 2012, pag.22