«Posso capire che esistano delle ragioni di ordine legale, sindacale, ma io chiedevo alla Rai lo stato di servizio che è un mio diritto, i posti in cui sono stato, così potevo provare a chiedere alle associazioni di categoria cosa fare… sono spariti tutti. Se io posso arrivare a capire, e non è che lo debba fare per forza, che possono esistere ragioni legali o sindacali, quello che capisco meno è l’assenza sul piano umano. Persone a cui parlavo dando del tu, perché ero un dirigente Rai, sono sparite, si sono negate al telefono, a me. Come se fossi un questuante. Io davanti a un atteggiamento del genere trovo un solo aggettivo: ripugnante».
Queste le ultime, dolorose, consapevoli, piene, parole di Franco Di Mare, che si è spento il 17 maggio all’ età di sessantotto anni per un mesotelioma pleurico.
Nato a Napoli il 28 luglio 1955, Franco Di Mare si laurea in Scienze Politiche all’Università Federico II di Napoli. Collabora con diversi giornali tra cui L’Unità, occupandosi di cronaca giudiziaria e di politica estera. Nel 1981 è corrispondente da Napoli anche per l’agenzia di servizi AGA (Agenzia di Giornali Associati) e per Radiocor (Agenzia di Stampa Economica e Finanziaria). Diventa giornalista professionista nel 1983. Nel 1991 entra in Rai alla redazione esteri del TG2, da inviato speciale racconta in prima linea i grandi conflitti sorti tra gli anni Novanta e il nuovo millennio: in Bosnia, Kosovo, Somalia, Mozambico, Algeria, Albania, Etiopia, Eritrea, Ruanda, prima e seconda guerra del Golfo, Afghanistan, Timor Est, Medio Oriente e America Latina.
Nel 2002 passa al TG1, nel 2003 diviene conduttore televisivo su Rai 1, dove è al timone di Uno Mattina Estate, di Uno Mattina week-end e poi dal 2004 di Uno Mattina. Dal 2005 al 2009 conduce Sabato e domenica, programma d’informazione e attualità di grande successo. Tra il 2009 e il 2011 presenta il Premio Ischia internazionale di giornalismo. Tra il 2016 e il 2017 e poi dal 2019 al 2023 conduce il programma di Rai 1 Frontiere. Il 20 luglio 2019 diventa vicedirettore di Rai 1, con delega ad approfondimenti e inchieste. Dal 14 gennaio 2020, è direttore generale dei programmi del giorno della Rai. Il 15 maggio 2020, in piena emergenza COVID, assume la direzione di Rai 3. Nel mentre, due libri, Il cecchino e la bambina (2009) e Non chiedere perché (2011) che racconta la storia di Stella, bimba bosniaca orfana di dieci mesi, da lui adottata dopo una rocambolesca avventura. Sarà poi la volta de Il paradiso dei diavoli e Il caffè dei miracoli. Il 28 aprile 2024, durante la trasmissione Che tempo che fa, annuncia di non avere ancora molto tempo a causa di un mesotelioma pleurico, contro cui combatte da tre anni, con la sua proverbiale riservatezza.
Con la sua prematura dipartita, il mondo dice addio a una delle più importanti firme del giornalismo. Una persona corretta, generosa, brillante, che ha svolto la sua professione con una dedizione esemplare, spesso non ripagata, dando un contributo significativo a un mestiere che resta il più bello e il più difficile del mondo. Perché raccontare i fatti richiede coraggio, lucidità, forza, obiettività, distacco. Anche quando la morte ti passa accanto. Con garbo, Franco Di Mare ha descritto le vette immaginifiche e le notti dello spirito che fanno dell’uomo creatura mitica e meravigliosa, perennemente in bilico tra questo di mondo e quello che si erge oltre un cielo che resta insondabile e al contempo si annida con mirabile resilienza anche nelle viscere bollenti della terra. Tra cenere, fuoco e stelle. E lo ha fatto senza risparmiarsi, con lealtà e signorilità. Fino alle estreme conseguenze. Il mesotelioma pleurico, il più crudele dei tumori, è arrivato in un giorno qualunque, silenzioso come un nemico spietato e ben organizzato, forse nei Balcani, forse in Albania. Chissà. Franco ha combattuto strenuamente, con dignità. Aveva un sogno. Festeggiare il suo sessantanovesimo compleanno, magari su una spiaggia di Posillipo, rivedendo quel mare che aveva amato tanto. Non ci è riuscito. Come non è riuscito ad ottenere la gratitudine, la riconoscenza, lo stato di servizio, il rispetto incondizionato. Da parte di quelli che credeva fossero amici, prima ancora che colleghi. Franco Di Mare non è andato via “docile in quella buona notte”, ha seguito le parole del poeta Thomas. È andato via lottando per i propri diritti, consapevole di questo tradimento, ma senza lasciarsi vincere dal rancore o dalla delusione.
Alla domanda sul perché avesse scelto di raccontare la guerra e di rischiare in prima persona, parafrasando Hemingway, rispondeva sempre: “Perché in guerra si incontra bella gente: al di là delle bombe, del rischio che corri, c’è anche solidarietà tra i colleghi e tra le persone che incontri, appunto, per caso”.
La parabola, umanissima, di questo eroe contemporaneo è emblema dell’amore che si offre e che non viene restituito, dei grandi inganni e voltafaccia della vita, che segnano e colpiscono le anime più sensibili, di quella corruzione, di quell’invidia strisciante che distrugge i rapporti, anche apparentemente più solidi, delle piccole e grandi meschinità. L’amarezza delle ultime parole di Franco sono un memento che ci condanna come società, una società che dimentica in fretta, che consuma e logora i cuori più puri, che scambia la seta per la lana, che premia l’arroganza e la codardia.
Eppure, la lezione di Franco ci invita a non arrenderci, a cercare la bellezza, a onorare questa vita canaglia e preziosa. A restituire, forse, qualche calcio e a mettere dei puntini sulle i, quando serve, dei paletti, a chiamare le cose con il proprio nome. Ma senza mai rinnegare la propria natura prodiga e curiosa. E così, restano, oltre il tempo e lo spazio, in quella porzione di infinità che ci è concessa, il suo esempio, la sua forza e tenacia. Restano come lacrime che bagnano una terra arida bisognosa di essere rigenerata, come note di musica in una serata di festa, trascinate lontano dal vento mentre le prime luci nella sala da ballo si spengono.
Franco è morto, Franco vive.
Ci rivedremo ancora. Qui o chissà dove. Per sempre.