Oggi, per la rubrica “Parole d’incanto e inchiostro simpatico”, la kokeshi intervista la poliedrica blogger e artista Serena Derea Squanquerillo. Una donna che ha affrontato con coraggio e determinazione le sfide della vita. Serena ha messo con estrema generosità il suo vissuto al servizio degli altri per veicolare un messaggio di forza e di speranza, alla (ri)scoperta del Bello, in tutte le sue manifestazioni e forme. Dall’oscurità alla luce. Nel segno delle mirabolanti evoluzioni dell’araba fenice e delle parole che devono salvare e scrivere una nuova storia possibile.
Serena ‘Derea’ Squanquerillo nasce nel 1980 a Velletri (Roma). Compie studi classici e nel 1999 si diploma presso il Liceo A. Mancinelli della sua città. Dopo alcuni eventi dolorosi, nel 2019 decide di realizzare “Il blog di Derea: diario di una Coscienza alla scoperta di sé”, atto terapeutico e di ribellione contro un destinato ostinato e contrario, come avrebbe detto De André, strumento di crescita che cerca ovunque la bellezza, persino in quelle note stonate che cerchiamo di evitare e che invece fanno parte del nostro cammino sulla terra, le stesse che a volte ci sorprendono in positivo, malgrado tutto, e ci permettono la più mirabile delle esecuzioni. La blogger è riuscita così a creare uno spazio incantato per condividere riflessioni, poesia, emozioni, arte e cultura. Con ironia, leggerezza e uno sguardo incantato, proprio come quello delle eroine dei manga. Collabora con l’Artemisio, giornale locale di Velletri e con la piattaforma culturale “Mobmagazine.it”. Dal 2023, il blog prende il nome di “Il blog di Derea: Racconti d’Arti”, piccolo scrigno di cultura e di sogni. Ha condotto, inoltre, la rubrica “Dialoghi”, dedicata alle arti, con videointerviste su YouTube. Tra il 2021 e il 2023, ha pubblicato quattro monografie: La Magica Danza Delle Parole, Quadri dell’Anima, Fatti diVersi, Lo Specchio di Derea e l’onirica antologia fotografica Red Lipstick Photo. Ha iniziato a studiare il basso elettrico, con il Fender ereditato dal padre Claudio, bassista, con il maestro Lorenzo Mancini, presso la scuola di musica “Arcangelo Corelli” della sua città. Come ha più volte ripetuto, “Derea” è la firma della sua Anima, simbolo in costante Divenire della sua seconda, esaltante, vita. In ascolto degli altri e di sé stessa, dando risalto alla propria, magnifica, unicità e rendendo tributo alle cicatrici che diventano opere d’arte. Per dare un senso e un calcio al dolore. Un messaggio che la kokeshi condivide e appoggia in pieno.
Ciao Serena Derea, benvenuta in questo spazio. Come nasce la tua passione per la scrittura e per l’arte?
Ciao, Eleonora. Ti ringrazio molto per questo incontro. Le mie passioni si sono accese durante un mio percorso terapeutico. Dopo una malattia e la morte di mio padre, ho vissuto un periodo di trasformazione interiore, anche spirituale, di autoconoscenza, in cui mi sono accorta dei talenti che, per buona parte della mia vita, ho soffocato. Una “vita precedente”, in cui non mi sono voluta bene e ho rinunciato a esprimere me stessa, finché, ammalandomi, mi sono ritrovata di fronte a una domanda: “Chi vuoi essere, Serena? Smettila di nasconderti. O risali o continui a scavare”. Ho scoperto nella scrittura un mezzo terapeutico, attraverso cui raccontare miei appunti di vita, così ho aperto il mio blog di Derea, dove vomitare tutto ciò che avevo tenuto dentro di me e che mi aveva portato ad avere un vero dolore fisico alla gola. Oggi, il mio mondo ruota intorno alla parola, ma non solo. Successivamente ho iniziato a giocare con tela e colori acrilici, realizzando qualche dipinto molto personale, tra cui qualcuno a cui sono particolarmente legata. Per il momento, ho smesso d’imparare a dipingere, perché preferisco concentrarmi sul mio lavoro con la scrittura e perché ho dato una nuova possibilità al mio amore per la musica con lo studio del basso elettrico, dopo aver rinunciato per molti anni. Ho sentito crescere in me la curiosità verso la cultura, la formazione e la divulgazione, con l’intenzione di raccontarle, in base alla mia esperienza diretta. Il mio obiettivo è quello di contribuire alla ricerca della Bellezza, intesa come lo splendore nascosto dentro ognuno di noi. La mia intenzione principale è raccontare l’esperienza dell’Umano.
Come hai detto in una recente intervista fatta con la scrittrice e divulgatrice culturale, Daniela Merola, ci tenevi fortemente a creare dei format insoliti, degli spazi d’intrattenimento amichevoli e informali, dedicati all’arte, come punto di partenza calviniano, leggero ma non banale, per un’analisi sulla natura umana, per un’indagine più introspettiva. Vuoi raccontarci quali obiettivi ti sei posta con la realizzazione del blog?
Come dicevo, il blog è nato come contenitore di appunti di vita, per un percorso terapeutico e di autoconsapevolezza, con la speranza che potesse essere d’aiuto e stimolo anche ad altre persone. Nel tempo, grazie a numerosi confronti e riscontri da parte di chi mi seguiva, sono nate nuove amicizie e collaborazioni. In modo, direi, naturale, ho scelto di focalizzare la mia attività sui talenti personali, sulla divulgazione in campo culturale, artistico e dello spettacolo, non da esperta, ma da appassionata e curiosa che racconta esperienze o le lascia raccontare agli ospiti, che presentano i propri progetti creativi. Amo essere fuori dagli schemi formali, dai comparti stagni e amo che i miei ospiti si sentano a proprio agio; tengo molto ad accorciare le distanze, attraverso una rispettosa e amichevole informalità. Da poco, il blog ha preso il nome di “Il blog di Derea: Racconti d’Arti”. Intendo creare curiosità e lasciare che chi mi segue possa passare qualche minuto piacevole, leggendo un articolo o guardando una videointervista. Si fanno riflessioni, ma ci si diverte anche. E noi due ne sappiamo qualcosa…
Proprio così. Ormai ti occupi da un po’ di comunicazione di social. Quali sono le nuove sfide, le trasformazioni di questo mondo fatto di luci e di ombre?
Sappiamo bene, che sui social succede di tutto ed è tutto in costante cambiamento. Ritengo che la qualità dell’impatto stia nelle intenzioni dell’uso che si fa di questi mezzi. Avremmo molto di cui parlare, ma io preferisco focalizzarmi su un aspetto che mi colpisce particolarmente e mi spinge a insistere nel contribuire, nel mio piccolo, alla divulgazione culturale e a stimolare negli altri la curiosità verso la conoscenza e l’espressione delle proprie capacità creative. Questo perché sono convinta che l’essere umano che si esprime e crea sia più sereno e, diciamolo, rompa meno l’anima al prossimo – forse – in preda a frustrazioni personali. Se dovessi giudicare dai social, trovo che non ci sia quasi più un confronto sano tra le persone, che invece si ‘aggrediscono’, perché la pensano in modo diverso; si fa a gara a chi ne saprebbe di più, si sminuisce l’altro, perché non sarebbe troppo acculturato o addirittura si ‘permette’ di fare degli errori nell’esprimersi. Non c’è tolleranza e pazienza nei confronti delle diversità/unicità di ognuno, perché ci si aspetta che l’altro sia a immagine di chi giudica. Attira di più parlare di tragedie o pandori firmati… Il problema È culturale. Motivo per cui io in primis voglio formarmi, conoscere e mi occupo, per quello che posso, di creare contenuti che parlino di valori umani, attraverso il mio lavoro con il blog, i social, i giornali con cui collaboro.
Nelle tue opere, affronti spesso anche il tema della malattia, un sentiero impervio che ti impone di definirti, di costruirti e di de-costruirti, di reinventarti. Un po’ come avviene con le opere cubiste di Picasso. Un percorso che ti trasforma e che rappresenta, se sei donna, una doppia sfida perché, in qualche modo, all’altra deliziosa metà del cielo il mondo non sembra perdonare questa “de-costruzione”. E spesso, i più spietati inquisitori non sono gli uomini, bensì le altre compagne di “firmamento”. Che cosa ti senti di dire a chi, per ragioni diverse, vive ogni giorno sulla propria pelle questa sfida?
Non voglio regalare confetti rosa o dire “sicuramente andrà tutto bene”, perché ci sono anche situazioni non risolvibili o non del tutto. Nel caso di malattie, ci sono anche situazioni terminali e ne ho conosciute. Nella mia vita ho avuto diversi problemi di salute sia emotiva sia fisica. Ho avuto due tumori al seno, anche se non gravi; è stato più duro il percorso chirurgico e terapeutico. Proprio in queste situazioni mi sono resa conto di quanto sia importante volersi bene e prendersi cura di sé, nel miglior modo possibile e nella misura in cui si riesca a realizzare i propri sogni, prima di tutto dandosi il permesso di farlo. Agire i propri talenti aiuta tantissimo a stare meglio, a portare colore nella vita propria e in quella altrui. Ci si rende conto di essere vivi ed è importante mantenersi tali, finché ce ne sia la possibilità. Fa parte del processo di ri-costruzione personale, in un passaggio che porta ad acquisire nuove forme e versioni di se stessi. Io ho imparato a trovare la mia serenità. Ho intenzione di fare del mio meglio per onorare il tempo a mia disposizione e tengo a incoraggiare gli altri a fare altrettanto. Quando si sta male, tutto ciò aiuta ad avere più energia, che altrimenti crollerebbe. Per quanto riguarda i rapporti umani, il mio consiglio è di circondarsi di persone che siano di supporto con buona energia e intenzioni e di lasciar stare chi non è in grado di far parte della cura… Mi rendo conto che non sempre sia facile, ma è importante comprenderlo. Posso testimoniare che tali esperienze di sofferenza possono aiutare a rendersi conto di chi si ha intorno e a fare pulizia di rapporti disfunzionali. Ci sono persone che ‘spariscono’ spontaneamente. È doloroso, ma proprio per questo bisogna pensare alla propria salute, che è la cosa più importante.
Quali sono i “superpoteri” che hai scoperto di avere in questi anni?
Ho scoperto aspetti di me che avevo soffocato e che mi hanno aiutata a recuperare autostima. Mi fa piacere vedere come la semplicità con cui mi esprimo e porto avanti le mie attività abbiano – tendenzialmente – un impatto positivo sugli altri, fosse solo per qualche momento di piacevole lettura. L’interesse per il mio blog cresce e così le collaborazioni. Ho una buona capacità di ‘unire’. Mi viene facile costruire ponti. Ultimamente ho ricevuto, in privato, il messaggio di una persona che mi segue da qualche tempo e mi ha scritto quello che, secondo me, è uno dei messaggi più belli che si possano ricevere: “Ho stima e simpatia per te. Ti seguo sempre. Fai venire voglia di vivere. Grazie davvero”. Quel Fai venire voglia di vivere è di una potenza sconvolgente e, per me, è una misura fondamentale dell’impatto che ha ciò che riesco a trasmettere.
E veniamo alla tua antologia poetica “La magica danza delle parole”, io l’ho letta tutta d’un fiato con il sottofondo di “Fables Of The Reconstruction”, l’album più difficile e complesso, dei R.E.M, un lavoro che si muove per contrasti e note stridenti, “stonate”, con una copertina ambigua che gioca sul doppio senso del titolo (Le fiabe della ricostruzione/La ricostruzione delle fiabe). Ne abbiamo parlato durante un’intervista, cerchiamo tutta la vita di evitarle, queste note, e inevitabilmente finiamo per abbracciarle nella loro complessità, a volte sorprendente. “La magia delle parole” rappresenta un capitolo cruciale della tua esistenza e del tuo percorso professionale. Ma all’interno di quest’opera hai dato vita alla fiaba della ricostruzione di Derea o alla ricostruzione della fiaba di Serena? È molto marzulliana come domanda, quindi, se vuoi, puoi odiarmi nipponicamente.
Derea è la mia Anima, la mia natura autentica. Il mio Oro. Attraverso un processo di trasformazione, di demolizione per ricostruirsi, attraverso un continuo viaggio interiore che va avanti, l’identità Serena ha aperto una porta, grazie alla quale si è resa conto di corrispondere sempre più a quell’Essere; ha iniziato a ricordarsi di esserlo. A un certo punto, Serena ha permesso a Derea di manifestarsi attraverso la magia delle parole. Quando scrivo, percepisco davvero le parole danzare intorno a me. Le afferro e le metto in fila su carta o Word. Ho scritto una fiaba in cui Serena e il suo nobile ‘stampino’, Derea, si sono ritrovate, dopo aver giocato la parte dell’essersi perdute. Serena si è de-costruita per ricostruire il puzzle più corrispondente all’immagine (se così vogliamo chiamarla) di Derea. L’incontro è avvenuto in un bosco, quando si è accesa una lanterna, divenuta faro. C’è anche un mio dipinto, forse quello che mi rappresenta di più, che lo racconta. S’intitola “La Porta delle Rose”. In un certo senso, le due opzioni di cui parli. possono essere vere entrambe.
Permettimi di dirti che questo è un dipinto stupendo e che ben ti rappresenta, infatti l’ho scelto per la copertina introduttiva di questa intervista. Ritornando alla tua opera “La magica danza delle parole” attraversa vari generi letterari ed è un inno alle nostre imperfezioni e alla capacità di danzare incuranti di tutto, anche della tempesta. Trovo che sia un messaggio di rara sensibilità. In “Cicatrici” tu parli di trofei conquistati con tenacia e di come queste ferite, queste cesure tra un prima e un dopo, ponte obbligato tra due identità che devono coesistere, debbano essere in qualche modo esaltate, non nascoste. Una lezione che ci ricorda la meravigliosa caducità dei fiori di ciliegio e l’arte giapponese del Kintsugi. Quanto è stato difficile per te questo percorso di consapevolezza?
Ho scritto “Cicatrici”, in riferimento al primo tumore al seno che ho avuto, nel 2012. Parlo di una cicatrice fisica, che ora, dopo il secondo intervento del 2021 è ancora più lunga e visibile. È su una parte del corpo molto importante per una donna, per la sua salute, per la sua femminilità. Dietro a quella cicatrice si è celata una ferita psicologica, che ha ‘sanguinato’ la sofferenza che portavo dentro, da tanto tempo. Poi, ho iniziato a definire quel segno una frattura tra un’identità precedente e una successiva a quell’esperienza. Proprio come nell’arte del Kintsugi, ci sono pezzi che mancano e al loro posto ci sono linee di altro aspetto, che tengono insieme le parti per una nuova forma acquisita. Ricorderò sempre quel momento, in cui ho scelto di darmi una smossa. Ho preso coscienza di quello di cui avevo bisogno e, soprattutto, di quello che non volevo più. Sono una Derea Serena.
Che rapporto hai con la piccola Capitana, con la bambina che eri? Che cosa vorresti dirle adesso?
La piccola Capitana, a cui ho scritto nella raccolta, grazie alla sua genuinità e curiosità, rappresenta la mia parte più viva. Lei mi ha salvata, piangendo per attirare la mia attenzione verso me stessa. Io la ringrazio, perché mi ha fatto conoscere quella curiosità e piacevolezza che guidano le mie attività. La amo profondamente. Rappresenta quella semplicità di cui parlavo, che consente a ciò che scrivo e faccio di essere tanto nudo da mostrare i significati così come sono, in trasparenza. A volte, è uno svantaggio, perché c’è chi se ne approfitta e in quel caso interviene l’adulta consapevole, ma nella gran parte dei casi, mi rende gioia.
Un’altra tua grande passione è la fotografia. Parlaci del tuo progetto Red Lipstick Photo.
Red lipstick Photo è un’idea nata a seguito di un corso di fotografia che ho frequentato nel 2023 è il mio primo lavoro interamente fotografico: una ricerca sulla sensualità, forza vitale e drammaticità, che una fotografia in rosso può evocare. Questo è il motivo per cui ho scelto il titolo “Red lipstick” – rossetto rosso in inglese – per la raccolta e per il logo in copertina: un’immagine femminile che rappresenta la sensibilità creativa dentro a un cerchio in movimento, che simboleggia a sua volta il processo di creazione, ma anche un utero di potenzialità da cui un’idea si manifesta e prende vita. La raccolta include, divise per sezioni, fotografie di paesaggi e ritratti, in varie gradazioni e combinazioni di rosso, che produco applicando manualmente un vecchio filtro Hoya 49 mm di mio padre sull’obiettivo della mia fotocamera bridge Nikon L820 o del cellulare Samsung A32. È un gioco di contrasti tra luci e ombre, che scava nell’animo umano e sonda le profondità del mistero da cui le forme animate emergono e si concretizzano. Tengo a sottolineare che non sono una fotografa professionista, ma una ricercatrice che ama sperimentare e giocare con le conoscenze e le tecniche che sta apprendendo, anche infrangendo un po’ le regole, come accade spesso in ogni ambito della mia capacità espressiva.
L’ironia – come sostenevano i dadaisti – è l’unica cosa che può salvare la nostra vita. Sei d’accordo?
Trovo che l’ironia e l’autoironia siano davvero importanti per temperare il livello d’importanza che diamo alle cose, a ciò che ci accade e a noi stessi. Personalmente, ritengo che siano un ottimo strumento per mantenere un equilibrio e un’armonia nella vita quotidiana; quando dobbiamo avere la giusta lucidità per fare scelte. Per me è importante non prendermi troppo sul serio, anche perché così mi diverto di più e do meno peso ai giudizi.
Come possono seguirti i lettori della kokeshi e non solo?
I miei canali sono: il mio blog www.dereasblog.cloud – il profilo Facebook Serena Derea Squanquerillo – la pagina Facebook Racconti d’Arti e il profilo Youtube www.youtube.com/@ilblogdiderea
Più spietata di un ragioniere di Gallarate, la Madre di tutte le domande: prossimi impegni culturali e professionali?
Oltre a portare avanti la mia attività con il blog e le collaborazioni, ho iniziato da poco a lavorare al mio nuovo libro, autoprodotto, dal titolo “Il filo”. Un progetto rimasto per due anni nel cassetto e che ora ha richiesto la mia attenzione. Come mio solito, non mi interessa definirne esattamente il genere, ma solo la finalità, che sarà quella di raccontare il mio percorso creativo dall’apertura del blog, nel 2019, in poi. La storia del viaggio di Derea alla scoperta dei suoi talenti e di come esprimersi, conoscendo se stessa, per poi arrivare a estendere lo spazio alle storie di altri sui loro talenti, raccontate dai diretti interessati. L’intento resta quello di testimoniare l’importanza di esprimersi autenticamente, mettendosi in gioco nel modo migliore possibile, per essere da incoraggiamento anche per chi, come me un tempo, sembra aver scelto la rinuncia o chi fa fatica a partire. Ci sarà un’analisi di un prima e un dopo il 2019 e ci saranno tante immagini ad accompagnare le varie fasi di crescita di questo mio lavoro, svolto con amore. Ho scelto per la copertina l’immagine di un gomitolo, in cui il filo della mia coscienza e identità ha fatto a lungo numerosi giri, in diverse direzioni, creando una matassa d’esperienze, finché ha trovato la sua direzione e ha iniziato a concretizzare IL VIAGGIO creativo dei suoi sogni. Per questa storia – così voglio chiamarla – avrò l’enorme piacere e onore d’avere la prefazione scritta dall’amica scrittrice, giornalista e coach di crescita personale, Maria Teresa De Donato, con cui ho condiviso esperienze e collaborazioni e che svolge un’attività volta ad aiutare altri nel proprio percorso di autoconoscenza. La ringrazio per l’interesse e la stima.
Grazie Serena per questa intervista e in bocca al lupo per tutti i tuoi sogni.
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