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In questa torrida estate, dal mondo di Facebook, croce e delizia del nostro tempo convulso, ecco che esplode, sinuosa e insinuante, una dirompente serie in “pillole” che approda con fare sornione sulla più iconica delle piattaforme social.

“Il Diario di Jo Snapers, uomo contemporaneo” è il titolo di questo esperimento metaletterario firmato dal giornalista e scrittore Giuseppe de Silva.

Dodici episodi ridanciani, pubblicati dal 26 luglio sulle pagine social dell’autore (https://www.facebook .com/GiuseppedeSilvagiornalistascrittore e https://www.facebook.com/giuseppe.desilva.10) per risate agrodolci e democratiche al mare o baciati dalla lieve brezza del salvifico condizionatore, a casa o in ufficio, per riflettere sul logorio della società moderna attraverso il suo protagonista, l’evanescente Jo Snapers. Costui, di manzoniana memoria, è un trentacinquenne single, ma soprattutto solo, lavoratore non troppo convinto, bipolare come gli contesta il suo analista, che annota sul proprio diario pensieri sparsi, avventure e soprattutto le verità inconfessabili e politicamente scorrette che mai avrebbe il coraggio di dire in pubblico. Insomma, uno di noi. Ed è proprio questo il segreto del successo di questa rutilante saga, adatta a un target trasversale e che sta riscuotendo grande consenso di pubblico e di critica.

Dopo “Armando e il segreto dello scudetto” (Scritto.io Edizioni), Giuseppe de Silva firma così un audace progetto che strizza l’occhio al linguaggio pop dei fumetti, un dono che regala riflessioni prêt-à-porter in città, in montagna o sotto l’ombrellone, a quanti hanno già conosciuto, letto ed apprezzato la sua  variegata produzione artistica, o si accingono a farlo incuriositi dall’operazione.

Esperto di comunicazione pubblica, collaboratore de Il Mattino e autore televisivo, Giuseppe de Silva è anche scrittore poliedrico (al suo attivo un saggio sulla comunicazione pubblica, il resoconto di una rocambolesca avventura ambientata in Siria, due romanzi d’amore pluripremiati e un’opera dedicata a Diego Armando Maradona).

Incuriosita dall’esperimento, la kokeshi blu ha così deciso di intervistare l’ideatore di Jo Snapers.

Ciao Giuseppe, benvenuto o, per meglio dire, ben tornato dalla kokeshi. Parlaci un po’ di Jo Snapers. Qual è stata la prima tessera del puzzle quando hai iniziato a pensare questa storia?

Diciamo che stavo pensando a cose “pesanti” anche perché vittima di un infortunio che mi ha costretto a casa ad ore di divano. Così, riflettedo sul filosofo Baumann e la sua teoria della società liquida, ho pensato a un personaggio che in qualche modo la incarnasse. Che fosse una specie di disadattato che vivesse suo malgrado nei nostri tempi. Gli ho dato un nome anglosassone perché mi ispiro ad alcuni scrittori americani. Snapers è un convinto seguace del dubbio. Non ha certezze ed ha sempre un punto interrogativo in testa. Oggi dovremmo coltivare di più il dubbio. C’è gente in giro che ha troppe certezze. Fingono una sicurezza che di fatto non hanno. Ed ecco Jo Snapers.

Sei pronto per una domanda molto indiscreta?

Sono pronto.

Come nasce l’idea di una serie in formato “ridotto” su Facebook? Si tratta di un’audace operazione di marketing o è piuttosto una sorta di regalo per i tuoi followers? Ricordiamo anche le “coordinate geografiche” per poter individuare facilmente Jo Snapers, anche se ho il vago sospetto che non passi di certo inosservato.

Oggi tutto si consuma sui social. E questo è un personaggio nato proprio per essere letto sui social. Devo dire che voglio anche dedicarlo a quanti hanno comprato i miei libri. Una sorta di bonus fedeltà che indirizzo ai miei lettori avvertendoli però: si tratta di qualcosa di completamente diverso da quel che hanno letto fino ad ora nelle mie produzioni. Ai nuovi lettori dico di appassionarsi alla lettura e di appassionarsi a Snapers. Magari vi si riconoscono pure. Per seguire le avventure di Jo, basta scrivere #josnapers oppure collegarsi alle mie pagine social:

https://www.facebook.com/GiuseppedeSilvagiornalistascrittore      https://www.facebook.com/giuseppe.desilva.10 .

Nel Diario di Snapers, così come nelle altre tue opere, passi con molta naturalezza dal registro ironico a quello malinconico, prendendo in giro il politically correct. Quale è stata, se vi è stata, la maggiore difficoltà che hai riscontrato nel delineare i contorni di questo personaggio che presenta, proprio come noi – ed è questo secondo me il punto di forza del personaggio – tante sfaccettature e dicotomie?

Ma credo di aver fatto mia, con le debite proporzioni, la lezione di Eduardo de Filippo che era maestro nel creare situazioni drammatiche che facevano ridere e situazioni ridanciane che erano figlie di fattispecie drammatiche. Credo che la vita sia un’espressione che vive su questo registro. Le difficoltà sono state più stilistiche, direi, perché bisognava riprodurre un diario dove si appuntano pensieri e non necessariamente questi hanno un filo conduttore univoco come in un romanzo. Per cui: frasi secche e non troppo lunghe.

Avverati o meno, i sogni sono un rappresentano il fil rouge, abilmente nascosto di queste pillole social. E per te, cosa rappresentano i sogni?

I sogni sono un motore dell’esistenza. Mai smettere di sognare. Io non potrei vivere senza sogni. E questo si rivede anche un po’ in Snapers. Lo salvano i sogni. Anche se sono sogni un po’ devianti…

Dal punto di vista caratteriale, Jo Snapers è qualcuno con cui andresti d’accordo nella vita di tutti i giorni?

Mah! Probabilmente no. Troppo maniacale, contorto, disincantato e strafottente. Rischieremmo di finire alle mani. Poi, però, siccome è anche un personaggio bipolare come gli dice il suo analista, potrei anche trovarlo in una fase di adorabilità e allora potremmo andare anche molto d’accordo.

Ora un’altra domanda molto irrispettosa: Snapers è un acronimo, non è vero? Se vuoi, puoi non rispondere e la kokeshi, per nulla rancorosa, accerterà di buon grado la tua decisione.

L’ acronimo è anche significante il mood del personaggio. Sarà svelato nell’ultima puntata per cui preferisco mantenere il “segreto” perché altrimenti si spoilera troppo. Chiedo scusa alla Kokeshi e confido che Snapers la faccia divertire così tanto da non incorrere nei suoi vendicativi strali. Sono convinto mi perdonerà.

Spostiamo allora l’attenzione sul funambolico autore delle serie. Con i tuoi libri hai toccato tanti tipi di narrazione: racconti brevi, saggi, romanzi. Qual è il genere in cui ti trovi più a tuo agio?

Scrivo per una specie di esigenza interiore, di pancia. E mi diverto molto a farlo. Quindi il genere che preferisco è quello nel quale mi sto cimentando mentre scrivo.

Posso dirti che il giallo è quello che mi crea più difficoltà perché sono maniacale nella costruzione degli indizi e finisco sempre con il non essere soddisfatto del risultato. Infatti ne ho due in fase di revisione e non ho trovato ancora la chiave per renderli accattivanti e quindi per ritenerli soddisfacenti.

Giornalismo e scrittura. Come vivi questi due mondi in cui sei pienamente immerso? Sono universi convergenti o simpaticamente divergenti?

Sono mondi che combaciano. Non c’è giornalismo senza scrittura. Se per scrittura poi intendiamo l’attività dello scrittore, personalmente ho trovato giovamento dalla professione giornalistica per poter scrivere i miei romanzi.

Domanda di rito. Stai già lavorando al prossimo capitolo delle avventure di Jo?

L’idea del diario è proprio figlia di un momento. Un’idea che è nata un po’ per caso come dicevo in apertura. Diciamo un fuoco estivo, balneare. Vorrei farne un prodotto stagionale un po’ come nelle fiction. Se il pubblico dovesse gradire particolarmente allora penserò ad una seconda stagione. In questo caso la prima stagione è composta da dodici episodi con un… finale di stagione. Poi si vedrà.

E con un finale sospeso, perché gli autori sono notoriamente sadici, la kokeshi ringrazia Giuseppe de Silva per questa intervista, ricordando a tutti che gli scrittori, oltre ad essere creature sciagurate e malefiche, mentono sempre. Per cui, lunga vita a Jo Snapers e al suo universo di infinite possibilità ancora in divenire. Perché si sa, a volte tornano. O no? Lo scopriremo, come cantava il grande Lucio Battisti, solo vivendo.

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