La variopinta danza degli uomini nelle opere di Pieter Bruegel il Giovane
A Pieter Bruegel si deve la creazione di un nuovo linguaggio artistico, che esplora la condizione umana in tutte le sue straordinarie dicotomie. Quella della famiglia Bruegel (o Brueghel, come si fecero chiamare poi i discendenti) è una grande dinastia di pittori ʻʻnarratoriʼʼ, che furono attivi tra il XVI e il XVIII secolo. Le descrizioni dei rituali del mondo contadino, come il lavoro nei campi, la caccia, le feste, i giochi e le danze, offrono la possibilità di osservare una cultura popolare oggi scomparsa ma che aneliamo disperatamente in questi torbidi tempi. I personaggi ritratti si muovono in composizioni dominate dai toni bruni e rossi. C’è sempre un richiamo, un accordo cromatico tra le varie parti del dipinto, una raffinatezza squisitamente fiamminga, capace di dare ancora più dinamismo ai soggetti, una scelta accorta, che rappresenta il vero marchio di fabbrica di casa Bruegel.
Anche i capolavori di Pieter degli Inferi, come venne soprannominato dai suoi contemporanei, per la presenza frequente di figure grottesche e di folletti allʼinterno delle sue opere, raccontano l’allegria del tempo di festa e la fatica del vivere, metafore delle stagioni della vita e del cuore, della consapevolezza, spesso messa a tacere, che ogni attimo è prezioso in quanto unico e irripetibile. In un’epoca in cui i pittori prediligevano i temi religiosi e mitologici, questi artisti gettarono le basi per una rivoluzione copernicana nell’universo dellʼarte, difficile da classificare.
Pieter venne al mondo in una data incerta fra il 1564 e il 1565.
Fece il suo apprendistato ad Anversa, dove nel 1588 si sposò ed ebbe sette figli dalla moglie Elisabetta Goddelet. Morì nel 1638.
Sin dagli esordi, mostrò una solida conoscenza dello spazio e del movimento. Al centro delle sue trame pittoriche, la vita quotidiana, le persone comuni, figure anonime che percorrono il tratto di esistenza a loro concesso dal Fato, ignare di essere osservati dal pittore e di diventare così, a loro volta e insaputa, personaggi di un racconto senza tempo. I riti ordinari, la danza dell’innamoramento, le tradizioni tramandate di generazione in generazione, sono elementi caratteristici dell’arte fiamminga. Ma realtà e fantasia devono intrecciarsi per far sì che si possa raggingere la visione della totalità del Cosmo, per questo non mancano elementi fantastici nelle sue opere. Seppe essere anche molto ironico nelle sue opere, proprio come tutti i grandi.
Da osservatore lucido e obiettivo, scevro da qualsiasi pregiudizio, egli mise in luce le aberrazioni e i difetti dell’uomo, ma anche la sua straordinaria capacità di rinascere dalle ceneri di un mondo ormai perduto. Malgrado una produzione esigua, Bruegel il Giovane riuscì a creare opere immortali. Nei suoi quadri, non esprime mai un giudizio di condanna, ma da giornalista con il pennello rivolge la sua attenzione verso le difficoltà della gente comune, degli ultimi. A lui si deve la diffusione dei celebri paesaggi invernali, diventati l’emblema dell’arte fiamminga.
Il suo capolavoro è “Paesaggio Invernale con trappola per uccelli”. I colori freddi, l’aria sospesa, la malinconia dei pattinatori e il tempo “soggettivo” dei cacciatori in attesa della preda, la trappola per uccelli raffigurata con minuziosa precisione, sono tutti elementi che ci rammentano la caducità della vita. La pericolosa leggerezza dei pattinatori sul fiume gelato è simile all’inconsapevolezza (“Ma è davvero tale?”, sembra volerci dire l’artista) degli uccelli che si posano sotto l’apparente riparo di una tavola di legno che invece diventa la trappola mortale, azionata dalla mano del cacciatore attraverso la fune che parte dalla finestra sullo sfondo.
L’universo è retto da regole, ci suggerisce Pieter, e a ognuno viene assegnato un posto, l’uomo deve adattarsi e subire imperturbabile il proprio destino. In questa bellissima veduta paesaggistica la critica, paragonando la minaccia che incombe sugli ignari uccelletti e il pericolo che si aggrava sugli altrettanto sprovveduti giovani pattinatori, coglie così un messaggio filosofico che ci invita a riflettere sui costanti rischi nel semplice svolgimento della vita che noi, come gli uccelli, accettiamo più o meno consapevolmente.
Interludio pindarico tra arte e letteratura
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Questo dipinto, a me piace pensare, forse ispirò anche Colleen McCullough, che in ʻʻUccelli di rovoʼʼ, opera letteraria da riscoprire e da cui venne tratta una celebre serie realizzata negli anni Ottanta, concede ai lettori una riflessione di grande spessore sulla natura umana: ʻʻC’è una leggenda che narra di un uccello che canta una sola volta nella vita, più soavemente di ogni altra creatura al mondo. Da quando lascia il nido, cerca e cerca un grande rovo e non riposa finché non lo abbia trovato. Poi, cantando tra i rami crudi, si precipita sulla spina più lunga e affilata. E, mentre muore con la spina nel petto, vince il tormento superando nel canto l’allodola e l’usignuolo. Una melodia suprema il cui scotto è la vita. Ma il mondo intero tace per ascoltare, e Dio, in Paradiso, sorride. Al meglio si perviene soltanto con grande dolore… o così dice la leggendaʼʼ. E ancora: ʻʻL’uccello con la spina nel petto, segue una legge immutabile; è spinto da non sa che cosa a trafiggersi, e muore cantando. Nell’attimo stesso in cui la spina lo penetra, non ha consapevolezza della morte imminente; si limita a cantare e a cantare, finché non rimane più vita per emettere una sola altra nota. Ma noi, quando affondiamo le spine nel nostro petto, sappiamo. Comprendiamo. E lo facciamo ugualmente. Lo facciamo ugualmenteʼʼ.
Le parole di questo libro, pubblicato nel 1977, troppo spesso sottovalutato, vittima di un certo pregiudizio vista la trama – giudicata all’epoca un po’ scabrosa -, riportano così il senso più profondo dell’opera dell’artista fiamminga. Spesso, siamo noi stessi a creare, nella nostra testa, quella trappola per uccelli che ci sarà fatale. Ma non possiamo fare nulla per evitarlo, perché questo istinto distruttivo è parte integrante della nostra natura che accoglie luci e tenebre. O forse, e più semplicemente, seguiamo fino in fondo il nostro destino.
In ʻʻPaesaggio invernaleʼʼʼ, lo scenario da cartolina cela un senso di attesa, di morte. Ma è proprio la fine inevitabile, il brivido di quella scommessa sulla nostra sopravvivenza che si rinnova ogni giorno, a rendere la vita degna di essere vissuta e prezioso ogni attimo che ci viene concesso. Così, nelle opere di Bruegel, si assiste anche ad un’esplosione di vita (come inʻʻFesta nuzialeʼʼ, ) pur nella consapevolezza, come avrebbe scritto Eraclito, che tutto scorre. La natura diventa espressione dell’Eterno, dell’atemporale e pertanto evocazione di un ordine più grande. Solo l’arte può raggiungere questi risultati o per dirla come Adorno: “ciò che la natura invano vorrebbe fare, lo compiono le opere d’arte: spalancano gli occhi”.
In copertina: Festa Nuziale – immagine di pubblico dominio presa da:https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Dorpsgezicht_met_bruiloftsdans_in_de_open_lucht,_Pieter_Brueghel_de_Jonge,_1614,_Koninklijk_Museum_voor_Schone_Kunsten_Gent,_1914-CJ.jpg?uselang=it
In basso:
La prima copertina del libro ʻʻUccelli di rovoʼʼ, edita da Bompiani nel 1977
Paesaggio invernale con trappola per uccelli – immagine di pubblico dominio presa da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pieter_Bruegel_the_Elder_-_Winter_Landscape_with_Skaters_and_Bird_Trap_-_WGA03333.jpg